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"Echoes of Harm”: la violenza di genere raccontata da chi l’ha vissuta

Prodotto da Chora Media in collaborazione con Angelini Pharma, Echoes of harm è un podcast che invita a porsi delle domande, ad approfondire e riflettere sulle radici di un fenomeno difficile da estirpare, le cui cause si intrecciano con dinamiche sociali, culturali e psicologiche complesse. Con una narrazione che stimola il pensiero critico, la serie offre uno sguardo olistico sul fenomeno della violenza di genere, sfidando gli ascoltatori a confrontarsi con una realtà che ha bisogno di più voce.

Articolato in quattro episodi, il podcast offre un racconto corale che intreccia testimonianze dirette di donne sopravvissute, familiari di vittime di femminicidio e approfondimenti multidisciplinari di psichiatre e attiviste. Un percorso che esplora le diverse forme in cui la violenza si manifesta, con un’attenzione particolare al suo impatto sulla salute mentale, un aspetto troppo spesso trascurato, ma fondamentale per comprenderne la portata e le conseguenze più profonde.

L’impatto della violenza di genere sulla salute mentale

Marisa Bate, autrice e giornalista britannica da sempre attenta alle tematiche che riguardano i diritti e la condizione delle donne, nota per i suoi lavori su The Guardian e The Times, firma una narrazione documentata, lucida e coinvolgente. Il suo racconto attraversa confini e contesti eterogenei, restituendo una visione ampia e concreta di un problema che riguarda la collettività, senza eccezioni.

Con un approccio autorevole, attento ed empatico, la narratrice muove i fili di storie diverse, ma tutte legate dallo stesso nodo: la violenza sulle donne. In questo contesto, decostruzione è la parola chiave. Ogni episodio offre strumenti per riconoscere i volti che il fenomeno può assumere, comprenderne le dinamiche e analizzare i meccanismi che ne favoriscono la perpetuazione.

Ogni voce, contributo, riflessione, presente nella serie concorre a delineare un quadro chiaro, ma tutt’altro che rassicurante: quello di un’Europa che ancora fatica a proteggere le sue cittadine, dove la tutela dei diritti delle donne resta parziale e spesso inefficace.

Una donna europea su tre
ha subito almeno una forma di violenza nel corso della sua vita

Un dato che non lascia spazio a interpretazioni e che mette in discussione le misure preventive finora adottate, spesso limitate a interventi di emergenza senza agire sulle cause strutturali del fenomeno.

Accanto a questo scenario critico, si fa spazio un fronte di resistenza. Il podcast punta i riflettori sul lavoro quotidiano di reti di professioniste, attiviste e sopravvissute che operano per restituire risposte più strutturate e concrete: attività di sostegno psicologico, servizi di prossimità, strategie di prevenzione, percorsi educativi orientati al rispetto, alla consapevolezza e alla responsabilità condivisa. Un progetto collettivo che si oppone alla normalizzazione della violenza e contribuisce a mantenere vivo uno spazio pubblico in cui il fenomeno possa essere affrontato con competenza e lungimiranza.

Il trauma lasciato dalla violenza non si esaurisce nell’evento in sé,
ma si manifesta in disturbi emotivi, ansia, depressione e
difficoltà relazionali che possono persistere per anni

Agnese Cattaneo, Chief Medical Officer, Angelini Pharma

Nell’ottica di promuovere una prevenzione sostenibile, si fa evidente la necessità di aggiornare le strategie comunicative, adottando linguaggi e formati capaci di intercettare le nuove generazioni nei contesti che abitano - fisici e digitali - e di stimolare in loro una riflessione consapevole e partecipata. Un approccio che richiede contestualmente un’attenzione profonda al loro benessere emotivo.

Ogni intervento educativo e preventivo deve tenere conto, infatti, delle conseguenze psicologiche che la violenza di genere comporta, non solo sulle vittime, ma anche sui rispettivi familiari e sull’intero tessuto sociale. Lo stigma, il conseguente “silenzio assenso” e l’assenza di un adeguato supporto contribuiscono a generare ferite profonde che rischiano di ostacolare o rallentare il processo di guarigione e di riappropriazione della propria identità psico-fisica. In questo contesto, Echoes of harm rappresenta uno strumento di sensibilizzazione potente, oltre che necessario.

Centrale, in tale prospettiva, la voce di Gino Cecchettin, che condivide la tragedia vissuta dalla sua famiglia e il percorso di sensibilizzazione che sta portando avanti attraverso la Fondazione dedicata a sua figlia, Giulia Cecchettin, vittima di femminicidio. L’approfondimento sul piano psichiatrico e psicologico è reso dagli interventi di due esperte internazionali. Anita Riecher-Rössler, professoressa emerita di Psichiatria e Psicoterapia all’Università di Basilea e direttrice della rivista Archives of Women’s Mental Health, esplora gli effetti traumatici e le conseguenze a lungo termine della violenza di genere sulla salute mentale. Isabella Berardelli, professoressa associata di Psichiatria presso l’Università Sapienza di Roma, spiega invece come sia possibile avviare un percorso di cura, sottolineando l’importanza di un sostegno psicologico qualificato e continuativo.

Il racconto si arricchisce inoltre delle voci di attiviste e giornaliste impegnate da anni sul fronte europeo: Rosa Logar, co-fondatrice della rete WAVE, ripercorre oltre quarant’anni di lotta per i diritti delle donne; Stefanie Knaab, giovane attivista e sopravvissuta, condivide la propria esperienza, segnata dal senso di vergogna e dal difficile processo di liberazione dal suo aggressore. A offrire una lettura più radicata nel contesto italiano è infine Francesca Berardi, giornalista e autrice di Chora Media, che affianca Marisa Bate nella costruzione di un fil rouge narrativo profondamente umano.

Come suggerisce il nome stesso del podcast, le conseguenze della violenza di genere si estendono oltre i confini del tempo e dello spazio. Ma proprio per questo, è fondamentale tracciarne un limite che segni l’inizio di un cambiamento. La serie si muove su due livelli complementari: da una parte, l'urgenza di capire se e come si possa intraprendere un vero percorso di guarigione, sia sul piano psicologico che su quello fisico; dall’altra, la responsabilità collettiva di costruire condizioni sociali, culturali e istituzionali che rendano questo percorso concretamente possibile.

Abbiamo gli strumenti, le risorse e la volontà per affrontare davvero la complessità di questo fenomeno? E, soprattutto, siamo in grado di immaginare - e costruire - una società che sappia prevenire, proteggere e trasmettere fiducia?

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